Egregio Canonico Walter

Egregio Canonico Walter,

La raggiungo nel silenzio della pagina scritta, fin dentro l’opera che da mezzo secolo La vede appassionato e lucido osservatore di una Roma di fine millennio. Benvenuto nel nostro eterno presente, Lei che seppe vedere cose che i Suoi contemporanei mai, Lei che ben sa che cosa intendiamo oggi per pagina scritta: non più soltanto il cartaceo ma anche il digitale che sempre più spesso compulsiamo sui nostri e-reader, supporti elettronici di pochi grammi di peso, capaci di gestire con analogo click l’ennesimo romanzo inutile o la poesia che può salvarci la giornata se non la vita.

A ben guardare, coi piedi quasi conficcati nel terzo decennio del nuovo millennio, questo presente non è troppo dissimile da quello che esplorò Lei, non fosse che per la differenza prodotta da un fenomeno singolare che è già monito di “come sarà presto il mondo senza noi umani in plancia di comando”. Mi riferisco all’avvento dello smartphone quattordici anni fa. Senza clamore quel diabolico (in senso etimologico) aggeggio ha finito per assegnare nuove priorità alle nostre esistenze, sin da subito, nella più quieta e indifferente quotidianità, impossessandosi delle anime nostre e ancora di più di quelle dei più giovani.

Egregio Walter, abbia pazienza, rimetto la barra del timone in rotta e punto dritta in boa: son qui per proporLe un incontro a Roma per giovedì 24 giugno 2021, alle 20,30 in Piazza Navona. Osserverà che la data prescelta non è casuale marcando l’anniversario del Suo ritorno nella Città Santa in quel giorno degli anni Novanta. Quanto al locale Da Filippetto, “il ristorante degli ecclesiastici di passaggio a Roma”, forse non esiste più ma troveremo un luogo di analogo spessore. Come ben sa, in Italia – e a Roma più che mai, tutto cambia perché nulla cambi, semmai diventando più caricaturale e grottesco. Considerazioni logistiche a parte, forte rimane la convinzione che quella serata romana ci consentirà di celebrare la nascita di un’intesa.

Ora mi sembra di vederli, i Suoi accigliati occhi nordici tornare a posarsi con circospetta cautela, ma anche con trattenuta curiosità, sulle righe qui sopra. Insinuandomi nella manciata di minuti restanti a disposizione prima che Lei proceda alla meticolosa riduzione in brandelli della presente, scompiglio la Sua flemma elvetica con quel pizzico di italica malizia che pur mi scorre nelle vene.

Mi chiamo A. e, come Lei con la Sua Lotte, anch’io col mio compagno condivido una lunga stringa di giorni di profonda comunione spirituale. Ed è a lui che devo il mio primo incontro con Roma senza Papa, il giorno che condividemmo oltre alla vita anche i nostri libri. Magari potessimo rimanere coetanei per sempre. Perché sì: primavera più, primavera meno, i nostri attuali cinquanta e qualcosa corrispondono ai Suoi eterni cinquanta dell’incipit del romanzo. Anche un curioso parallelismo temporale mi lega a Lei: mentre in quei fatidici Anni Novanta Lei torna sulla scena romana come adulto, la sottoscritta vi fa ritorno come studentessa di lingue alla Sapienza. Non solo: anche in età infantile vi ho vissuto e proprio quando Lei vi era giunto per la prima volta nei panni di giovane aiuto-minutante.

Come la Sua Lotte, sicura di giudicarLa marito fedele persino nei sogni, anche il mio P. può a buona ragione considerarmi compagna leale e affidabile. Ciò non impedisce che, negli anni della maturità, io ami spingermi alla scoperta di nuovi amici dentro le pagine di un romanzo. E questo sarebbe Lei per me: un compagno di bicchiere per brindare alla vita. Così, quella sera di giugno mi piacerebbe proporLe un recioto: “dolce senza niente di blando, ansi su un fondo sapido, robusto, con toni persino gravi. Colore, rubino scuro, o forse amaranto. Uno dei più squisiti scacciapensieri che un uomo (e una donna, aggiunge ora la sottoscritta) civile si possa concedere.” Perché, come Lei annota, “dal cattolicesimo al vino c’è un nesso ecologico, di habitat, ovvio anche se nessuno lo ha mai studiato, e ce n’è un altro liturgico-sacrale” e un terzo ancora: “l’animo cattolico è spontaneo nei luoghi dove il vino, più che una bevanda, è un conforto necessario, una ragione vitale. (Vitis, vita).”

Quando vivevamo ancora in Italia, nei fine settimana lasciavamo la grande città di pianura per rifugiarci in una casa ai piedi del Monte Rosa dove non c’erano né televisore né internet. Nelle stagioni propizie salivamo i sentieri di montagna coi nostri figli allora ancora creature senza smartphone, vaccinate contro il virus della bambinocrazia. La montagna ci nutriva l’anima: il suo respiro silenzioso ci guidava su per i sentieri, qualcosa che anche Lei deve aver sperimentato sin da bambino.

Davvero scrivere plasma le coscienze: dopo che del mio amore per la montagna Le ho fatto cenno, sento necessario passare dall’urbano Lei al montanaro tu, certa che apprezzerai. Tu e io parliamo: come te, Walter, nel corso del tempo anch’io mi sono accostata allo studio di più lingue sebbene non tutte le abbia portate ai tuoi livelli avanzati di conoscenza… né sono riuscita, come tu hai saputo fare con grande autodisciplina, a valorizzarne l’uso in modo professionale: mi limito a servirmene come chiavi di accesso all’’altro’, nulla più.

Soprattutto, come per te, anche per me che ora vivo all’estero, l’Italia è il sole e la tua Roma la mia Italia di oggi. Tu scrivi “la bonomia, a Roma, è ricca, e perciò espansiva. (…) Rusticucci simpatizza, solidarizza, mi dedica quella cordialità più insinuante che consiste nel fingersi partecipi alla malasorte del prossimo.” Ebbene oggi in Italia Rusticucci si sono chiamati nel tempo Berlusconi, Renzi, Di Maio, Conte. Sì, noi italiani siamo proprio così e in tanti decenni i difetti dell’Italia hanno subito continue involuzioni: insieme al tifo dissennato regnano ancora la sporcizia, il chiasso e la pessima manutenzione delle strade. Per non parlare della bambinocrazia, dei quali effetti tu già ci mettevi in guardia e il cui frutto maturo sembra essere il “bullismo”, fenomeno aberrante che distrugge i delicati riti di passaggio per tanti giovani d’oggi.

Non solo: avevi ragione anche su un altro punto. L’entrata in Europa, ha retrocesso l’Italia a ‘Sud’, svalutando la sua economia e la sua tecnologia alla stregua di “relitti anti-economici di un passato autarchico”, tanto che da sempre più parti si sente parlare di hôtelizzazione dell’intero Paese, perché “da voi, solo il sole!” mentre il benessere economico nazionale si mantiene a livelli europei grazie al “mignottismo”.

Ecco, Walter carissimo, il mio invito è un esperimento umano. L’auspicio è che un incontro ideale tra persone di buona volontà che ancora credono nell’esistenza del Diavolo possa avvenire, anche soltanto per una sera di inizio estate. In seguito ci sarebbe tanto da ricordare, soprattutto da parte mia. Ti terrò aggiornato.

Con affetto,

A.

PS: Ora Roma dispone di due papi: l’uno, gesuita e nell’esercizio delle sue funzioni, è impegnato a ripudiare la romanità fastosa mentre la dimensione festosa, essendo sudamericano di origini piemontesi, la tiene ancora in debita considerazione; come sostieni tu, resta da vedere se ci riuscirà: “città, e razza, qui sono felicemente refrattarie”. L’altro, ormai ex Papa, si è ritirato ai castelli romani – 30 minuti da Zagarolo – in stato claustrale, è come te, di madrelingua tedesca.

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